Con la recente Sentenza del 16.04.2018 (n. 9280), la Suprema Corte di Cassazione, ha tenuto a ribadire come all’interno dei c.d. “condomini minimi” la quota di partecipazione alle spese gravanti sui singoli proprietari, in assenza di specifiche tabelle millesimali, deve essere determinata dal Giudice secondo i principi espressi dall’Art. 1123 c.c. e non applicando la regolamentazione prevista dall’Art. 1101 c.c. in materia di comunione.
Quanto sostenuto dalla Suprema Corte non è di poco conto se si considerano i diversi criteri di ripartizione previsti dalle due norme: infatti, mentre l’art. 1123 c.c. del c.c. prevede che le spese siano ripartite in proporzione al valore delle proprietà esclusive (o dello specifico uso se suscettibili di uso diverso e separato) rispetto al complesso immobiliare, l’Art. 1101 c.c., dettato in materia di comunione, prevede una contribuzione alle spese condominiali in quota uguale ai singoli partecipanti alla comunione.
Caio e Sempronio sono due proprietari di appartamenti ubicati al primo e secondo piano di un edificio. Nel corso del tempo hanno svolto dei lavori sulle parti comuni dell’edificio che ritenevano urgenti per un importo di oltre 20.000,00 euro. Effettuati tali lavori, integralmente pagati da loro, hanno citato in giudizio Mevio, proprietario del piano rialzato, affinché fosse condannato a pagare la quota di sua spettanza.
Infatti, sostenevano Caio e Sempronio, l’art. 1134 c.c. prevede espressamente il caso in cui, dinanzi all’urgenza di salvaguardare i beni comuni, i singoli condomini possano intervenire immediatamente salvo poi farsi restituire dagli altri la propria quota di spettanza. In ogni caso affermavano che Mevio si era ingiustificatamente arricchito dal loro intervento sulle parti comuni.
Prima di entrare nel merito della questione la Suprema Corte di Cassazione ha voluto sottolineare come con riferimento ai così detti condomini minimi (ovvero i condomini composti da un numero di partecipanti inferiore a quelli per cui non scatterebbe l’obbligo di costituirsi in condominio) devono trovare applicazione le norme previste dal Codice Civile in materia di condominio e non anche quelle dettate in materia di comunione.
Afferma la Suprema Corte che:
La disciplina del condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, quanto, a fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni.
La logica conseguenza di tale enunciazione di diritto è che tutti i partecipanti di un condominio sia esso costituito o rappresentato da un condominio minimo devono partecipare alle spese condominiali tenendo innanzi tutto conto del valore della proprietà esclusiva rispetto al complesso condominiale. Per i giudici, infatti, tale valore preesiste alla stessa formazione delle eventuali tabelle millesimali (che in un condominio minimo non sono obbligatorie) per cui in loro assenza deve essere il Giudice a determinare la quota di partecipazione seguendo i criteri fissati dal citato articolo.
Deve infatti sottolinearsi come le Tabelle millesimali non hanno un valore costitutivo (cioè non fanno sorgere l’obbligo di contribuzione) ma hanno una valenza meramente ricognitiva e valutativa (ovvero si limitano ad indicare concretamente qual è la quota di ciascun condomino alle spese sulle parti comuni).
Nel merito della questione, il diritto di Caio e Sempronio a vedersi restituito da Mevio, in quota parte, quanto sostenuto dipende dalla dimostrazione dell’urgenza delle opere fatte.
Sul punto la Suprema Corte ha affermato:
L’urgenza degli interventi è nozione distinta dalla mera necessità di eseguirli, poiché ricorre quando, secondo un comune metro di valutazione, detti interventi appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento alla cosa comune o ove siano connessi alla necessità di evitare che la cosa comune arrechi a terzi o alla stabilità dell’edificio un danno ragionevolmente imminente, o in presenza per la necessità di restituire alla cosa comune la sua piena ed effettiva funzionalità
Peraltro l’urgenza deve essere tale che le opere debbano essere eseguite con tempestività senza che il singolo abbia la possibilità di preavvisare gli altri condomini o l’eventuale amministratore.
Per i Giudici, quindi, in carenza di tali condizioni non sono quindi ammissibili indebite e non strettamente indispensabili interferenze dei singoli partecipanti alla gestione del fabbricato che conseguentemente non avranno diritto alla restituzione di quanto pagato né ai sensi dell’Art. 1134 c.c. che, infatti, espressamente indica i lavori come urgenti né a titolo di ingiustificato arricchimento (o arricchimento senza causa) posto che quest’ultima azione ha un carattere sussidiario per cui è esperibile solo se l’ordinamento non abbia già previsto una specifica e diversa azione.
Avv. Piero Mongelli
Avv. Cristian Marchello