Con una interessante Sentenza del 18 Aprile 2018 il Tribunale di Treviso ha chiaramente sancito come non si possano sommare tra loro gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori ai fini della verifica di superamento del tasso soglia previsto dalla recente legislazione antiusura.
Addirittura il Giudice Veneto ha ritenuto di dover sanzionare ex art. 96 c.p.c. (responsabilità aggravata per aver agito in giudizio con mala fede o colpa grave) la domanda formulata dall’attore che ipotizzava il superamento della soglia antiusura proprio sommando i tassi corrispettivi con quelli moratori.
Tale decisione del Tribunale di Treviso trova la propria genesi sulla diversa funzione dei due tipi di interessi dove gli interessi corrispettivi hanno per l’appunto la funzione di remunerare il capitale dato in prestito mentre quelli moratori assolvono alla diversa funzione di “sanzionare l’inadempimento del mutuatario sulla base di una previsione pattizia riconducibile al genus delle clausole panali”.
Partendo da questo condivisibile assunto (cui si arriva con il semplice riferimento alla Cass. SS.UU. 19.05.2008 n. 12639 secondo cui una volta risolto il contratto per l’inadempimento del mutuatario, sono dovuti solo gli interessi dimora sul capitale non restituito e gli interessi corrispettivi già in precedenza maturati, non anche gli interessi sulle rate del mutuo non ancora scaduta) per cui in caso di inadempimento gli interessi moratori assorbono in sé quelli corrispettivi, il Tribunale arriva alla non felice conclusione che gli interessi moratori non hanno alcuna rilevanza ai fini della usurarietà del tasso e della configurazione del reato di usura con conseguente non applicabilità della sanzione civile prevista dall’Art. 1815 c.c. per cui tutti gli interessi non sono dovuti in caso di superamento della soglia.
Tale passaggio argomentativo nella sentenza in commento fonda i suoi pilastri sulle seguenti analisi:
A sommesso giudizio di chi scrive il Tribunale di Treviso parte da un condivisibile assunto per giungere a conclusioni decisamente errate.
Infatti, dire, come fa il Tribunale veneto, che “… la previsione del tasso degli interessi di mora deve considerarsi totalmente rimessa all’autonomia contrattuale”, significherebbe esporre il soggetto debole del contratto, segnatamente il consumatore e/o risparmiatore, ad un sostanziale aggiramento della normativa di tutela prevista. Posto che è indubbio come la previsione normativa antiusura ha, tra le proprie finalità, proprio quella di tutelare la parte contrattuale debole, limitando il potere contrattuale in mano alle banche. Infatti, ove la determinazione del tasso moratorio fosse totalmente lasciato alla determinazione contrattuale delle parti nulla limiterebbe la banca nel fissare un tasso altissimo che andrebbe a colpire il risparmiatore proprio nel momento di massima debolezza dello stesso, e finendo così con il vanificare l’obiettivo principale di una legge penale: evitare che il reato si consumi.
A modesto avviso di chi scrive, quindi, seppure gli interessi moratori svolgono una funzione risarcitoria, non per questo sono esclusi dalla coerente applicazione della legge antiusura e dalla applicazione del relativo tasso soglia.
La fattispecie di reato della usurarietà dei tassi è, naturalmente, di derivazione penale: l’art. 644 comma 3 sancisce come “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” chiarendo nel successivo comma 4 che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si deve tenere conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per le imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”.
A fronte della previsione penale del Reato il legislatore ha altresì modificato l’Art. 1815 c.c. prevedendo una sorta di “sanzione civile” per cui si è espressamente previsto che “Se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.
Tale ricostruzione penale della fattispecie del reato di usura è stata successivamente oggetto di una interpretazione autentica da parte del legislatore che con la L. 24/2001 ha chiarito come l’applicazione del citato articolo del codice penale e, quindi, dell’Art. 1815 c.c., si determina allorquando gli interessi usurari “superano il limite stabilito dalla legge” nel momento in cui “sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
La chiara portata della norma e della sua interpretazione autentica, è stata peraltro confermata dalla Suprema Corte di Cassazione che con la nota Sentenza n. 350 del 2013 ha statuito che:
Ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 c.c. e dell’articolo 644 c.p., si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo d’interessi moratori.
Tale sentenza ha dato origine ad un vivace dibattito dottrinario e giurisprudenziale (in parte viziato da una lettura che voleva l’illogica sommatoria dei tassi corrispettivi e moratori ai fini della determinazione del tasso usurario) che in qualche modo si è recentemente concluso con l’Ordinanza n. 23192 del 04.10.2017 per la quale:
La fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori; pertanto ove sia superata la soglia anche con solo riguardo agli interessi moratori, trova applicazione l’art. 1815, co. 2, c.c. che prevede la nullità della clausola, e che non siano dovuti interessi.
Per cui registrato il superamento del tasso antiusura anche solo dagli interessi moratori per come pattuiti in contratto, non sono più dovuti gli interessi ed il mutuo da oneroso si trasforma (in virtù della configurazione di un reato) in gratuito.
Tale conclusione è ancor più vera se si considera che la recentissima ordinanza della Suprema Corte innanzi citata è confermativa della Sentenza con cui il Tribunale di Matera aveva statuito che:
La verifica del rispetto della soglia d’usura va estesa alla pattuizione del tasso di mora, con la conseguenza che ove detto tasso risulti pattuito in termini da superare il tasso soglia rilevato all’epoca della stipulazione del contratto (cd. usura originaria), la pattuizione del tasso di mora è nulla ex art. 1815 c.c. e non sono dovuti interessi, neppure corrispettivi, avuto riguardo alla lettera e allo scopo della disposizione. (Cfr. Trib. Matera 19.05.2016)
Sul punto, in modo se possibile ancora più chiaro, si è espresso il Tribunale di Napoli che ha statuito come “appare preferibile la tesi secondo cui la nullità debba essere estesa anche agli interessi corrispettivi, poiché:
La formula della legge “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” non consente di effettuare alcuna distinzione tra interessi corrispettivi e interessi moratori, né tra le corrispondenti pattuizioni, e dall’altro che il tasso moratorio pattuito, in quanto composto dallo stesso tasso degli interessi corrispettivi al quale va aggiunta una determinata maggiorazione, ove usurario non può che travolgere necessariamente nella sanzione di nullità tutti i suoi ‘componenti’ e quindi anche il tasso corrispettivo (v. in tal senso Tribunale di Padova ord. 8 – 13 maggio 2014). In definitiva, quindi, va dichiarata la nullità della clausola del contratto di mutuo stipulato tra le parti che stabilisce la misura degli interessi e, in applicazione di quanto disposto dall’art. 1815 c. 2 c.c. il debito nei confronti dell’istituto di credito deve essere rideterminato – sulla scorta delle indicazioni contenute nella relazione del CTU alla quale occorre fare rinvio…. (Cfr. Trib. Napoli Nord 30.09.2016)
A conferma di ciò non può sfuggire come, in un particolare momento dello svolgimento del mutuo, vengano sempre e comunque a sommarsi fisicamente l’interesse corrispettivo con quello di mora: nel momento i cui il cliente si arretra con il pagamento anche di una sola rata di mutuo, prima ancora della comunicazione di perdita del beneficio del termine, avviene che a quella rata, come quantificata nel piano di ammortamento (quota capitale + interessi corrispettivi), vengono applicati gli interessi di mora.
Va sottolineato come sul delicato argomento anche il Tribunale di Bari si è espresso per la gratuità del mutuo in caso di superamento del tasso soglia da parte degli interessi moratori. Con ordinanza del 14.12.2015, infatti, si è precisato come:Gli interessi di mora rilevano nel computo del tasso effettivo globale ai fini dell’accertamento del superamento del tasso-soglia usura e la clausola di salvaguardia eventualmente contenuta nel contratto di mutuo non è idonea a escludere l’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., cosicché – in caso di tasso effettivo globale superiore al tasso-soglia anti usura – il mutuo si trasforma da oneroso in gratuito.
La conclusione che si trae da questa copiosa produzione giurisprudenziale e legislativa (a giudizio di chi scrive il dettato normativo è chiaro nella sua portata ove prevede che “nessun interesse è dovuto”) è che nel caso in cui siano convenuti interessi usurari siano essi corrispettivi e/o moratori nessun interesse è dovuto giungendosi a statuire la gratuità del mutuo.
Sul punto di fondamentale importanza appare anche l’Ordinanza del 23.03.2016 del Tribunale di Massa il quale ha riconosciuto l’applicabilità della disciplina antiusura anche agli interessi moratori tanto da poterlo qualificare “principio che costituisce ormai ius receptum della giurisprudenza della Corte di Legittimità” (Cfr. Cass. 14899/2000 – 5282/2000 – 602/2013 – 350/2013 – 6992/2007 – 5324/2003 – 10032/2004 – 15497/2005 – 9532/2010 – 1748/2011 – 11632/2010 – 9532/2010 – 8442/2002 – 17813/2002 – 8742/2011 nonché Corte Costituzionale 29/2002).
In detta Ordinanza inoltre il tribunale di Massa ha richiamato i lavori parlamentari al D.L. 394/2000 e, in particolare il testo della Relazione del Governo in cui si legge:
L’articolato fornisce al comma 1 l’interpretazione autentica dell’art. 644 cod. pen. E dell’art. 1815 c. II c.c. Viene chiarito che quando in un contratto di prestito sia convenuto il tasso di interesse (sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio) il momento al quale riferirsi per verificare l’eventuale usurarietà sotto il profilo sia penale che civile è quello della conclusione del contratto a nulla rilevando il pagamento degli interessi.
Il che fa discendere per il Tribunale di Massa una ulteriore ragione per cui la pattuizioni si riferisce sia agli interessi corrispettivi che a quelli moratori:
Essendo volontà del legislatore quella di prendere in considerazione, ai fini della disciplina antiusura, ogni tipo di interessi, a prescindere dalla loro funzione: anche la pattuizione o la promessa di interessi usurari per il caso della mora del debitore costituisce infatti uno strumento di abuso della posizione del creditore mutuante e di sfruttamento della difficoltà economica del primo. Del resto, la disciplina civile (Art. 1815 c.c.) e quella penale (Art. 644 c.p.), così come la definizione generale di interesse moratorio (Art. 1 e 2 della L. 108/1996), fanno uso del termine “Interessi” senza particolari declinazioni ed attributi, il che rende plausibile un’interpretazione massimamente espansiva della portata delle norme de quibus, tale da riferirsi a qualsiasi specie di interessi convenzionalmente previsti.
(Cfr. Di Napoli “l’usura nel contenzioso bancario” Maggioli ed. 2017)
Sotto altro profilo preme sottolineare come ai fini della determinazione del tasso soglia non debbano, in linea con i dettami della Suprema Corte di Cassazione, essere computati gli interessi moratori (che determinerebbe un innaturale innalzamento della soglia vanificando di fatto gli effetti della legge) né, tanto meno, far riferimento a rivelazioni campionarie (che prevedono un incremento percentuale di 2.1 del tasso medio per gli interessi moratori) svolte nel lontano 2001 dalla Banca d’Italia che non hanno il necessario supporto legislativo. Infatti, non si vede come possa prevedersi una specifica soglia per gli interessi di mora senza porsi in contrasto con il dettato normativo che dispone la soglia per il tasso di interesse, a qualunque titolo convenuto.
La diversificazione del tasso soglia, prevista dalla legge per le differenti categorie, è riferita alla natura del credito, non dell’interesse, e alla fisiologia, non alla patologia, del fenomeno. Infatti, creando (con riferimento ad una campionatura non prevista da alcuna norma di legge) un ulteriore spread di penalizzazione entro una diversa e più elevata soglia, ancor prima di ravvisare la ricorrenza dell’usura concreta, si verrebbe a contraddire la logica della rilevazione del valore medio fisiologico del credito come punto di riferimento al quale ancorare lo spread di variazione consentito dalla legge.
In sostanza se si inseguono i diversi gradi di patologia con differenti tassi soglia si innesca una ascesa che vanifica lo spirito stesso della legge. “il rafforzativo “sono sempre usurari” – riportato nell’art. 2 della L. 108/96 – non sembra ammettere deroghe: ogni patologia deve essere comunque ricompresa nello spread fissato dalla legge rispetto al tasso medio di mercato, inteso quest’ultimo come un tasso ordinario e fisiologico del rapporto. Nel senso che se si crea una categoria per la patologia con una propria specifica soglia, viene meno il riferimento al tasso ordinario e si vanifica lo spirito della legge, privandola dell’inderogabilità implicita nella formulazione “sono sempre usurari”.” (Cfr. Marcelli in riv. Dir. Bancario 2/2015) Senza contare la circostanza che i pareri della Banca D’Italia non paiono vincolanti se è vero, come è vero, che la stessa L. 108/96 attribuisce il potere di rilevazione trimestrale dei tassi medi solo al Ministero del Tesoro (MEF) e non certo alla banca d’Italia che, come è noto deve essere solo “sentita” unitamente all’Ufficio Italiano Cambi.
Appare ormai assodato che il recente intervento nomofilattico delle Sezioni Unite di Cassazione abbia risolto il contrasto giurisprudenziale in materia di “usurarietà sopravvenuta” nel senso di ritenere applicabile la normativa antiusura nei casi in cui il superamento del tasso soglia avvenga nella fase applicativa del contratto di mutuo e non si registri, invece, nella sua fase genetica.
La scelta operata dagli Ermellini è quella di strettissima aderenza al dettato letterale della legge per cui la valenza degli art. 644 c.p. e 1815 c.c. e delle sanzioni ivi previste opera esclusivamente nel caso in cui il superamento del tasso soglia avvenga nel momento genetico del contratto.
Nella propria decisione le Sezioni Unite hanno avuto modo di sottolineare come:
E’ avviso di queste Sezioni Unite che debba darsi continuità al primo dei due orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, che nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta, essendo il giudice vincolato all’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., e art. 1815 c.c., comma 2, come modificati dalla L. n. 108 del 1996, (rispettivamente all’art. 1 e all’art. 4), imposta dal D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, cit.; interpretazione della quale la Corte costituzionale ha escluso la sospetta illegittimità, per violazione degli artt. 3, 24, 47 e 77 Cost., con la sentenza 25/02/2002, n. 29, e della quale non può negarsi la rilevanza per la soluzione della questione in esame.
Ove appare lapalissiano affermare che se in materia di usura sopravvenuta il Giudice è tenuto alla stretta osservanza della legge per come interpretata autenticamente, parimenti sarà tenuto alla stretta osservanza della legge nel caso in cui si accerti una usura genetica dei tassi di mora posto che la legge commina la sanzione della non debenza degli interessi in caso di superamento dei tassi soglia, senza operare alcuna distinzione tra interessi corrispettivi e moratori. Così come parimenti solo alla legge sarà tenuto il Magistrato ai fini della determinazione del Tasso Medio Globale rimesso al solo Ministero dell’Economia e Finanze.
Solo per completezza di cronaca si evidenzia come con Ordinanza del 9405 del 12.04.2017 la Suprema Corte ha avuto modo di statuire che:
Qualora l’usurarietà del tasso d’interessi di un mutuo, originariamente pattuito in misura legittima, sia sopravvenuta nel corso dell’esecuzione del contratto e sia stata tempestivamente contestata – risultando applicabile, “ratione temporis”, la norma d’interpretazione autentica di cui all’art. 1 del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla l. n. 24 del 2001) – il giudice del merito è comunque tenuto ad accertare l’usurarietà e, per la frazione temporale nella quale il superamento del tasso soglia sia effettivamente intervenuto, deve applicare il tasso previsto in via normativa, secondo la rilevazione trimestrale eseguita ai sensi dell’ art. 2 della l. n. 108 del 1996; non devono, però, applicarsi le sanzioni civili e penali stabilite dagli art. 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c.
Così come si evidenzia che con Ordinanza 2311 del 30.01.2018 sempre la Suprema Corte ha voluto dare continuità all’arresto nomofilattico delle Sezioni Unite innanzi citato, precisando che:
Tale impostazione, alla quale l’odierna pronuncia intende dare continuità, fa sì che acquisti fondamentale importanza l’indicazione dei tassi di interesse pattuiti al momento della stipula del contratto.
Anche qui senza operare alcuna distinzione tra moratori e corrispettivi.
La citata giurisprudenza sia di legittimità sia di merito, che il Tribunale di Treviso considera ma non tiene in nessun conto, rende giustizia alla bontà della tesi qui sostenuta ovvero che anche gli interessi moratori, autonomamente considerati, non devono superare il tasso soglia medio tempore applicabile.
Per cui, con riferimento ai pilastri argomentativi seguiti dal Tribunale di Treviso, concretamente deriva che:
A sommesso giudizio di chi scrive, l’intera normativa in materia bancaria e finanziaria, in linea con la vigente normativa europea e con i principi generali del nostro ordinamento deve essere letta nel senso di conseguire la massima tutela possibile per il soggetto contrattualmente debole che, per quanto è dato sapere, è sempre il risparmiatore.
Avv. Piero Mongelli
Avv. Cristian Marchello