23 Luglio 2024

Nella prelazione l’obbligo di preferire non è obbligo di contrarre

scritto da: Dott.ssa Daniela Centonze

Con l’ordinanza n. 15801 del 06 giugno 2024 la Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, ritorna su un tema classico avente ad oggetto i negozi preparatori del contratto, delineando i confini invalicabili sussistenti tra il patto di prelazione, il contratto preliminare ed il patto di opzione.

Segnatamente, la Suprema Corte evidenzia che la denuntiatio non ha la valenza di proposta e dopo il suo invio il promittente è libero di non concludere il contratto.

La vicenda oggetto del ricorso

All’origine del ricorso per cassazione si colloca il patto di prelazione stipulato tra il ricorrente (V.F.) e la società controricorrente (S.A. s.r.l.): nello specifico, la seconda si impegnava a preferire la prima (o in suo luogo la figlia, a parità di condizioni) nella messa a disposizione di un’ area aziendale (in corso di ristrutturazione) recante le caratteristiche idonee per consentirle la somministrazione di alimenti e bevande nel corso degli eventi sportivi organizzati negli spazi della stessa società.

Completate le opere di rifacimento, S.A. s.r.l. comunicava al V.F. di aver ricevuto una proposta irrevocabile di locazione per la medesima area interessata dal patto di prelazione e fissava contestualmente un termine per consentirgli l’esercizio della riconosciuta prelazione.

Il prelazionario esercitava il suo diritto e, di conseguenza, la società prelazionante gli trasmetteva il contratto. Quest’ultimo, tuttavia, in quanto difforme dalla proposta, non veniva sottoscritto dal V.F., al quale veniva, pertanto, negato l’accesso negli spazi oggetto di interesse.

Il V.F. otteneva dal Tribunale competente un provvedimento d’urgenza, atto a consentirgli l’ingresso e l’esercizio delle sue attività commerciali nell’area, che veniva poi rigettato a contraddittorio integro, anche in sede di reclamo.

Ne conseguiva l’avvio del giudizio di merito nel corso del quale il V.F. chiedeva[1] l’emissione di una sentenza ex art. 2932 c.c., atteso il contratto di locazione non concluso a causa del già perfezionato preliminare (cioè, in forza dell’adesione alla proposta di locazione previamente formulata). Il Tribunale investito rigettava le domande di parte attrice rilevando, con particolare riguardo all’istanza ex art. 2932 c.c. rispetto alla quale si sofferma per la presente trattazione, il difetto di interesse ad agire per l’ottenimento di una sentenza in luogo del contratto non concluso, in virtù delle peculiarità dell’attività economica che l’attore avrebbe dovuto svolgere (di fatto, la stagione calcistica nel corso della quale l’attore avrebbe dovuto svolgere l’attività lavorativa era ormai conclusa).

L’attore in via principale ed il convenuto in via incidentale appellavano la sentenza e la Corte d’Appello adita, con sentenza del 27.09.2022, rigettava entrambi i gravami; per quanto qui di interesse, in ordine al gravame principale, la Corte lo riteneva infondato dal momento che le parti avevano concluso un patto di prelazione volontaria, cui era seguita dapprima la denuntiatio da parte della società e, in seguito, l’accettazione del V.F. con successiva richiesta di modifica del contratto, richiesta che aveva determinato il mancato perfezionamento della locazione, da intendersi come rinuncia all’esercizio del diritto di prelazione.

Nel ricorso principale per cassazione il V.F. lamentava, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.4 c.p.c., la nullità della sentenza per difetto di motivazione in merito alla natura vincolante dell’accettazione della denuntiatio. In particolare, il ricorrente lamentava la contraddittorietà logica tra le affermazioni della Corte d’Appello secondo cui “a) il V.F. ha accettato la denuntiatio della società; b) tale accettazione non determina il sorgere di effetti reali od obbligatori; c) essa però determina il vincolo di addivenire, entro un preciso termine, alla stipula del contratto con il prelazionario; d) una volta comunicata l’accettazione, non è possibile pretendere modifiche al testo del contratto concordato.[2]

Ebbene, tralasciando in tale sede gli altri motivi di ricorso principale nonché i motivi di ricorso incidentale condizionato avanzati dalla società, giova rilevare che la Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, soffermandosi sull’analisi delle ragioni di inammissibilità del primo motivo, “essendo basato su una tesi di fondo (l’esistenza di un vincolo coercibile ex art. 2932 c.c.) incompatibile con l’accertamento operato dalla sentenza stessa[3].

In primo luogo, secondo il giudizio di legittimità, la Corte territoriale aveva adeguatamente inquadrato la natura dei patti intervenuti tra le parti aventi ad oggetto la rinnovazione della locazione nell’ambito del patto di prelazione volontaria, tanto che proprio tale assunto (rimasto quindi indiscusso) è stato elevato dal ricorrente a presupposto delle sue censure.

In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha rammentato che nell’ordinaria progressione della formazione del contratto le parti possono decidere, nell’ambito della libertà negoziale loro riconosciuta dall’ordinamento, di vincolarsi sia con negozi unilaterali che con accordi preliminari o provvisori, potendo operare la scelta, a seconda delle diverse esigenze sottese, tra differenti tipologie di istituti.

A mero titolo esemplificativo, tra i negozi bilaterali, si rilevano:

  • Il contratto preliminare che obbliga una o entrambe le parti alla stipula del contratto definitivo entro un dato termine;
  • Il patto d’opzione (ovvero con la proposta irrevocabile allo stesso parificata sotto il profilo meramente normativo) che riconosce ad una parte il potere di concludere o meno il contratto mediante una congruente manifestazione di volontà, dove quindi il contratto finale si conclude quando il beneficiario accetta la proposta senza necessità di ulteriori dichiarazioni da parte del concedente (si limita la libertà di una parte negoziale lasciando inalterata la libertà di un’altra);
  • Il patto di prelazione, con il quale si può attribuire ad una parte il diritto di essere preferita ad altri nella conclusione del contratto a determinate condizioni, previo interpello da parte del promittente.

Tali strumenti, ribadisce la Cassazione, hanno efficacia naturaliter più o meno limitata nel tempo, poiché collegati al regolamento degli interessi tra le parti; dagli stessi discendono tuttavia diritti e obblighi diversificati per gli interessati.

Invero, con il contratto preliminare si determina l’insorgenza dell’obbligo (di una parte, se unilaterale, o di entrambe, se bilaterali) di concludere il contratto definitivo e il correlativo diritto di pretendere che la parte obbligata presti il necessario consenso a tal fine; diversamente, con il patto di opzione si attribuisce all’opzionario il diritto potestativo di concludere il contratto cui il patto accede, mediante il correlato esercizio, cui corrisponde la posizione di soggezione del concedente e, pertanto, mediante la dichiarazione di volontà con la quale l’opzionario esercita il diritto si perfeziona la conclusione del contratto.

Infine, con il patto di prelazione si attribuisce al promissario il diritto di essere preferito nella conclusione del contratto, alle condizioni concordate, fermo restando il potere del promittente di non concludere il contratto stesso, dal momento che (salvo che il patto non lo preveda espressamente) non sussiste alcun obbligo legale in tal senso.

La Cassazione, nel dettaglio, precisa che “in forza del patto di prelazione, il promittente è tenuto ad uno specifico comportamento per il caso di determinazione a stipulare il contratto, comportamento rappresentato dalla comunicazione di tale intenzione al prelazionario (denuntiatio)” e che “la comunicazione, se positivamente riscontrata, non determina a sua volta, di regola, né la conclusione del contratto definitivo, né l’obbligazione di stipulare il contratto alle condizioni indicate; dunque non fa sorgere neppure un contratto preliminare, salvo che non lo si sia espressamente previsto. Il promittente, infatti, può anche decidere di non stipulare il contratto: perché insorga l’obbligo di stipularlo è necessaria la previsione espressa, nell’ambito del patto di prelazione, come conseguenza dell’accettazione della denuntiatio diretta a garantire la prelazione stessa.”

Le conseguenze sul piano processuale non sono di poco conto: difatti, nel caso di violazione del patto di prelazione da parte del promittente (che, ad esempio, concluda con un soggetto terzo il contratto senza effettuare la denuntiatio ovvero senza attendere la scadenza del termine concesso al prelazionario per l’esercizio) il prelazionario potrà agire solo per il risarcimento del danno derivante da inadempimento (sul punto v. Cass. Civ. n. 19928/2008) in quanto l’ordinamento non prevede nei casi di prelazione volontaria alcun rimedio coercitivo, né l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., né il diritto di riscatto che, come noto, è riservato alla vendita di terreni agricoli ex art. 8 l. 590/1965 o al retratto successorio ex art. 732 c.c. (prelazioni legali e non volontarie). La tutela del prelazionario leso nella prelazione volontaria ha infatti natura obbligatoria e non reale, né il patto di prelazione è opponibile al terzo, il cui acquisto rimane impregiudicato dalla violazione del patto stesso; per converso la tutela è sempre reale, come anticipato, nei soli casi di prelazioni ex lege e nel caso, eccezionale, di tutela dei soci prelazionari rispetto alla vendita di azioni a terzi in violazione della prelazione prevista dallo statuto.

In definitiva, vero è che i summenzionati negozi bilaterali hanno effetti obbligatori, ma solo il contratto preliminare determina l’obbligo di addivenire alla stipula del contratto definitivo entro un dato termine. Tali evenienze, nel caso oggetto della ordinanza in esame, hanno reso pertanto insostenibile la tesi di parte ricorrente secondo cui il prelazionario aveva diritto alla conclusione del contratto definitivo e quindi poteva chiederne l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., rimedio esperibile solo per il contratto preliminare. 

In conformità a quanto già cristallizzato in precedente pronunce, quindi, la Corte ha ribadito che “a differenza del contratto preliminare unilaterale, che comporta l’immediata e definitiva assunzione dell’obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo, il patto di prelazione relativo alla vendita di un bene genera, a carico del promittente, un’immediata obbligazione negativa di non venderlo ad altri prima che il prelazionario dichiari di non voler esercitare il suo diritto di prelazione o lasci decorrere il termine all’uopo concessogli, ed un’obbligazione positiva avente ad oggetto la denuntiatio al medesimo della sua proposta a venderlo, nel caso si decida in tal senso. Questa obbligazione, nel caso di vendita ad un terzo del bene predetto, sorge e si esteriorizza in uno al suo inadempimento, sì che il promissario non può chiederne l’adempimento in forma specifica, per incoercibilità di essa a seguito della vendita al terzo, ma soltanto il risarcimento del danno, mentre, nel caso di promessa di vendita ad un terzo del medesimo bene, è ugualmente incoercibile, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., non configurando un preliminare (Cass. n. 3571/1999; conf. Cass. n. 3124/1987; Cass. n. 265/1975)”.


[1] Per le ulteriori domande attore cfr. pag. 3 dell’ordinanza Cass. Civ., Sez. III, n. 15801/2024.

[2] V. pag. 5 ord. Cass. Civ., Sez. III, n. 15801/2024.

[3] V. pag. 7 ord. Cass. Civ., Sez. III, n. 15801/2024.


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